venerdì 26 marzo 2010

Come dedicare una notte alla Rai, boicottandola

E' successo, ce l'hanno fatta. Michele Santoro, insieme al resto del team di Annozero è riuscito ad aggirare la "censura" della RAI spostandosi su altri canali mediatici e di fatto rubandogli più share che mai (si parla del 13%). Insieme a Marco Travaglio, Sandro Ruotolo, Giovanni Floris e un altro lungo elenco di personaggi del mondo del giornalismo e dello spettacolo in generale, ha trasmesso in diretta da un "semplice" palazzetto dello sport, travestito da studio televisivo alle 21 di giovedì 25 marzo la trasmissione RAIPERUNANOTTE.

Non un semplice programma ma una vera e propria manifestazione di massa. Un meeting dell'informazione libera. Una protesta verso chi vuol mettere il bavaglio al giornalismo vero. Una manifestazione di dissenso verso i tentativi del Governo di mettere a tacere i dissidenti. Ma non solo. Raiperunanotte è anche un chiaro esempio della potenza dei media televisivi liberi come come Current TV e della capillarità delle tecnologie in Streaming su Internet, nonché della capacità ormai assodata del "popolo della rete" di organizzare ritrovi in piazza in un battibaleno, raggiungendo numeri importanti anche per semplici proiezioni video.

La trasmissione si è aperta con una sovrapposizione Mussolini-Berlusconi che già faceva intendere dove si volesse andare a parare. Una folla da stadio accoglie i giornalisti, ormai idoli, punti di riferimento per un paese che non ha più un'identità civile. Grande ovazione per i vari Travaglio, Floris, il grande ritorno di Daniele Luttazzi (più esplicito che mai!), l'intervento di Roberto Benigni (roba rara di questi tempi). Peccato per alcune cadute di stile durante la trasmissione (Morgan, assolutamente inutile), ma il punto fondamentale non è questo. L'obiettivo è stato raggiunto.

Ora poniamoci però una domanda. Possibile che in un paese occidentale si debba arrivare a questo? Meravigliarsi di fronte a un programma che dice la verità e, aldilà del gusto personale del pubblico, difende il proprio diritto di comunicare la propria opinione sui temi caldi. Possibile che la gente abbia accolto Michele Santoro come un messia? Non sono i giornalisti a dover fare politica, ma purtroppo è quel che succede. In una società ormai priva di senso critico e civico non sappiamo più da chi farci rappresentare e cerchiamo la salvezza in personaggi dello spettacolo. Questi ultimi sono caricati di una responsabilità che in un paese "normale" non dovrebbero avere.

Eppure le persone giovedì sera ci credevano. Tanto ridevano alle battute dei vari comici, quanto osservavano lo spettacolo con occhi di speranza. Sembravano chiedere:"aiutateci". E' un popolo senza guida, abbandonato dalla sinistra ormai immobile di fronte alla prepotenza di un governo che non ha interesse nel benessere della popolazione. I cittadini cercano un appiglio. Non ci sono partiti, non c'è faziosità. Questa gente non è di sinistra e non è di destra. E' solo stufa e vuole trovare una nuova strada per ricominciare a vivere in una società moderna, libera e senza censura.

E' stato quel che aspettava la gente. Una specie di riunione per fare il punto della situazione di quali siano i ranghi. Si sono evidenziati i ruoli, le idee, gli scopi, i problemi. La gente non aspettava altro che una grande riunione per domandarsi:"ma quanti siamo?!"

La risposta è semplice come la domanda: tanti.

Daniele Faugiana

lunedì 15 marzo 2010

Italia nucleare

L'energia nucleare comincia la sua avventura in Italia nel 1962 con l'accensione del primo reattore situato a Latina.

Dopo la seconda guerra mondiale, nonostante i trattati internazionali vietassero al paese l'arricchimento del combustibile, un processo necessario alla produzione di materiale effettivamente utilizzabile nel reattore, venne stipulato un accordo durante una conferenza tenutasi a Ginevra del 1955 che permetteva la costruzione di centrali sul territorio Italiano a scopo di produzione elettrica.

L'Uranio necessario nel processo di Fissione sarebbe stato arricchito all'estero e portato in Italia pronto per l'utilizzo per rispettare gli accordi internazionali. Cominciano così una serie di piani e progetti per rilanciare l'industria energetica del paese che lo porterà tra i maggiori produttori a livello mondiale di energia elettrica generata tramite lo sfruttamento dell'energia del nucleo.


Una serie di incidenti durante i processi nucleari di arricchimento, di combustione e di smaltimento avvenuti all'estero (tra cui il celeberrimo incidente di Chernobyl del 1986, dall'impatto devastante) portarono l'opinione pubblica a dubitare dell'affidabilità degli impianti e a vivere nel terrore di un'eventuale incidente sul nostro territorio. Furono dunque varati tre referendum abrogativi(FONTE), sintetizzabili nei tre quesiti:
  • L'abrogazione della possibilità da parte dello stato di scegliere il sito di costruzione di un impianto qualora l'ente locale non dia la disponibilità nei tempi previsti.
  • L'abrogazione dei contributi forniti dallo stato agli enti locali ospitanti uno stabilimento nucleare
  • L'abrogazione della legittimità di partecipazione dell'ENEL (al tempo ente statale) in progetti nucleari esteri.

Evidentemente non era previsto alcun divieto alla costruzione di centrali sul nostro territorio. Un fatto che è ancora oggi ignorato da buona parte dell'opinione pubblica. Difatti, la fine del programma nucleare italiano arrivò per ragioni politiche, quando il PLI, i Radicali e il PSI (il cui leader al tempo era Bettino Craxi) cominciarono una campagna di abbattimento dei piani per la costruzione delle centrali, forti di un'opinione pubblica ormai stanca della presenza di questa tecnologia "pericolosa". Un paese che aveva risposto positivamente ai tre referendum rendendo "quasi ufficiale" il rifiuto alla costruzione di nuovi impianti.

Nel 1990 delle 4 centrali aperte, due avevano pressoché terminato il proprio ciclo utile in termini di investimento, una era già stata soppressa a causa di svantaggio economico mentre l'ultima nata, la centrale di Caorso, venne "spenta" con largo anticipo rispetto alle aspettative e ai progetti con conseguente perdita economica da parte dell'ENEL, al tempo ancora ente statale. Si pensa a un costo complessivo di circa 450 milioni di euro.

Negli anni a seguire l'Italia sfruttò maggiormente i combustibili fossili e fu costretta ad importare dall'estero l'energia per sostenere le carenze. Quest'ultima strategia è tra le più criticate al giorno d'oggi, sia perché l'energia in questione sarebbe prodotta da centrali nucleari paradossalmente situate vicine al confine, in Francia per esempio, sia per l'impatto economico sui cittadini. Si pensi inoltre al black-out del 2003 che ha messo a nudo quanto il nostro paese sia "schiavo" del resto del mondo sul fronte dell'approvvigionamento di energia. Per questo in molti hanno rivalutato la possibilità di un nuovo programma nucleare che possa renderci finalmente indipendenti dalle altre nazioni.

La convenienza economica del nucleare consiste principalmente nell'alto rapporto tra energia prodotta e costo del combustibile. Ogni singolo kg di Uranio produce molta più energia rispetto a un kg di combustibile fossile e i giacimenti, secondo alcune stime, sono destinati a durare ancora per molto tempo. E' interessante come però i canali mediatici non diffondano, forse volutamente, informazioni chiare circa i costi indiretti della produzione, vero fattore rilevante sul prezzo finale al consumatore del singolo KWh di energia elettrica. Ogni KWh di prodotto risente maggiormente dai costi degli impianti di arricchimento, di fissione, di smaltimento, dello sviluppo, del personale altamente qualificato che del costo del combustile, sollevando notevolmente il prezzo dell'energia.

Il problema ambientale è forse quello al quale la popolazione è più sensibile. Il rischio errore è forse quello più gettonato. E' importante dire che l'incidente di Chernobyl fu causato da uno scellerato esperimento volto a verificare le possibilità massime di sfruttamento degli impianti. Tutti conoscono il tragico epilogo della vicenda, molti non sanno che si trattò di un'operazione non convenzionale, il che significa che in una situazione di buona condotta difficilmente si verificherebbero episodi simili. Ma nel nostro paese, terra di mafia e criminalità organizzata, possiamo fidarci? Le moderne centrali nucleari garantiscono la sicurezza anche in caso di attacco aereo, non è facile aggirare i sistemi di protezione e i sistemi di sicurezza sfruttano tecnologie in grado di intervenire nei casi più disperati per evitare danni al nucleo. Ma siamo certi di quel che stiamo facendo? Il prezzo da pagare in caso di errore è molto alto.


Come se non bastasse, la centrale produce costantemente rifiuti radiotossici che necessitano di un preciso smaltimento e stoccaggio presso i depositi specificatamente adibiti al contenimento delle radiazioni. I rifiuti possono essere lavorati per essere utilizzati nuovamente in parte come combustibile o in altri scopi civili come la produzione di radiofarmaci per la cura di tumori. In ogni caso la parte di rifiuti non più utilizzabile deve rimanere isolata per lungo tempo, dalla decina a centinaia di migliaia di anni. E' il tempo necessario al decadimento delle sostanze radioattive per diventare innocue, un processo inevitabilmente lungo che solo madre natura può compiere. Possiamo solo isolarli e attendere. Il processo in sé non comporta la produzione di gas serra perciò, a meno di gravi avvenimenti, il nucleare è una tecnologia a impatto quasi-zero verso l'atmosfera (quasi zero perché comunque i mezzi di estrazione dell'Uranio e del trasporto che sono indispensabili per far funzionare la catena producono gas serra).


All'estero il Nucleare ha trovato grandi consensi, anche tra quei paesi considerati in cima alla classifica degli stati del benessere. In Finlandia per esempio adottano la tecnologia di fissione da anni, con largo consenso della popolazione e la utilizzano in modo intelligente, sfruttando al massimo le energie idroelettriche naturali e usando l'energia dell'atomo per il minimo indispensabile. Di recente la Finlandia ha criticato l'affidabilità dei nostri progetti, forte di una propria esperienza nell'utilizzo di questo tipo di reattori.

Alternative al nucleare effettivamente applicabili oggi non ci sono se non quella di continuare ad utilizzare gas, petrolio e carbone. Le tecnologie per le energie rinnovabili, allo stato dell'arte, non consentono di soddisfare il fabbisogno energetico della nazione che quindi si trova a dover utilizzare ancora il gas, che tra i combustibili fossili è quello meno dannoso per l'ambiente, pur restando comunque un problema sia per quanto riguarda l'inquinamento, sia per quanto riguarda la sua effettiva disponibilità. Per tutto il resto c'è l'energia nucleare, oggi importata dall'estero, che in futuro sarà nuovamente in Italia grazie alle recenti scelte politiche del Governo Berlusconi.

La scelta di reintrodurre la tecnologia comporta evidenti problemi. Innanzitutto il contrasto dell'opinione pubblica, che si divide pressoché a metà sulla questione tra favorevoli e contrari. Tra i più forti contrasti come non nominare quello tra popolo e amministrazioni locali sulla scelta dei siti. Nessuno vuole una centrale nucleare sotto casa, evidentemente, ma tutti vogliono pagare poco per l'energia e consumarne a dismisura, non c'è volontà di ridimensionare i propri bisogni da parte dei più.

La grande contraddizione odierna è che grazie ai referendum del 1987 lo stato non può imporre a un ente locale di costruire un impianto sul proprio territorio e nemmeno può inviare sovvenzioni economiche allo scopo di incentivare un comune ad ospitarne il sito. La battaglia sorta qualche tempo fa che ha coinvolto la Puglia, con l'attuale governatore in prima linea, Nicola Vendola, contro il governo, sul tema della scelta dei siti, parla da sola. Il problema principale, ancora una volta è la competenza degli enti locali, in contrasto con la volontà dell'esecutivo. Se da una parte Roma rappresenta la volontà della maggioranza degli italiani non si può negare che gli organi regionali siano più vicini alla realtà di un territorio, come nel caso della Puglia.

Ancora più assurdo è che nessun paese, il nostro in particolare, sembra fermamente convinto nell'investimento sulle energie rinnovabili che dovrebbero porre fine una volta per tutte al problema della sostenibilità ambientale. Probabilmente allo stato attuale non sarebbe possibile ricavare molto dalle tecnologie "verdi" ma quantomeno avviare un processo di evoluzione delle stesse è necessario e ne abbatterebbe progressivamente i costi. Ritardando lo sviluppo delle stesse si rimanda soltanto il problema al futuro, in cui, ripetiamo, inevitabilmente, cesseranno di esistere le fonti di energia attualmente impiegate. Il nucleare dovrebbe essere solo un "ponte" per attraversare il fiume dell'evoluzione. Una soluzione temporanea, la "meno peggio" del momento, prima di convertirci finalmente allo sfruttamento pulito del pianeta.

Inoltre il nucleare può rappresentare una soluzione, almeno provvisoria, che permetterebbe di lasciare i combustibili fossili rimasti ai paesi in via di sviluppo che non sono ancora in grado di sfruttare l'energia del nucleo dell'atomo. In questo senso si otterrebbe un doppio beneficio a scapito però della sicurezza del cittadino sul lungo termine (minata dal rischio rappresentato dalle scorie, gestite da paesi dalla dubbia stabilità politica).

Per concludere è importante sottolineare come alcuni particolari sul nucleare (sia pro che contro) anche se di pubblica notorietà vengono tendenzialmente occultati probabilmente per soddisfare alcuni interessi: da una parte quelli dell'industria dei combustibili fossili (occultando i pro), dall'altra quelli dei grandi gruppi internazionali come  Edison interessati allo sviluppo dei propri investimenti in più paesi possibile (occultando i contro). Inoltre c'è da chiedersi se in paesi come il nostro in cui la criminalità organizzata è potente, sia saggio avviare operazioni così "delicate" per la salute dei cittadini stessi, specialmente dopo i problemi sorti nel meridione in merito al folle e incontrollato accumulo di rifiuti, anche tossici. Un incidente del genere con le scorie nucleari avrebbe senza dubbio un impatto di molto superiore sul territorio.

Nonostante si faccia pubblicità all'Atomo per sopperire al problema del Global Warming (ancora, pubblicità negativa o positiva) c'è comunque la volontà di disinformare il cittadino sul tema già di per sé chiaro a pochi. Essendo una tecnologia avanzata è molto facile giocare sull'ignoranza della gente per fuorviare l'opinione pubblica ed è per questo che è importante compiere le proprie scelte sempre informati sugli argomenti che più da vicino ci toccano, come questo in cui c'è in gioco la salute di un intero pianeta.

Daniele Faugiana

Fonti:

lunedì 8 marzo 2010

Crisi di identità politica

Si sente molto spesso parlare di una fantomatica crisi dei valori e di ideali che pervaderebbe il nostro tempo e la nostra società, oltre a caratterizzare profondamente l'individualità del cittadino globale. Non si tratta semplicemente di qualunquismo, ma ciò che notiamo è solo la punta di un iceberg, la traduzione microsociale e superficiale di un fenomeno ben più pervasivo e radicato, che delinea e scandisce la fisionomia delle nuove modalità esistenziali e comunicative del XXI secolo.

La stessa politica non fa eccezione in questo senso, anzi molte delle critiche che oggigiorno la scuotono derivano proprio dagli effetti di certi nuovi trend comunicativi che sembra aver adottato.

E' evidente che i punti di riferimento si sono fatti sempre più inconsistenti sia sull'orizzonte politico che sociale del nostro vivere; sociologi del calibro di Z. Bauman e U. Beck hanno definito la nostra società come società dell'incertezza, senza prospettive, né apparente futuro. Società del “qui ed ora” che assolutizza passato e futuro, disintegrandoli in un eterno presente.

Non è solo questo che rende vacue le prospettive da cui osserviamo il mondo, spesso ogni nostra opinione sembra avvilupparsi nella confusione e nel caos, come se non riuscissimo più a distinguere il bene dal male, il giusto dallo sbagliato, l'esterno e l'esteriore dalla nostra stessa individualità interiore; ciò avviene in ambito comunicativo e le moderne strategie di marketing ne sono un esempio nei loro quotidiani effetti.

Il sociologo Nello Barile, nel suo libro "La mentalità neototalitaria" afferma "il nuovo totalitarismo [...] penetra negli interstizi, si annida nelle nicchie, dà nuovo senso agli 'scarti'. Tutto ciò per occupare perentoriamente lo spazio identitario dell'altro, per carpire il patrimonio di segni e valori che lo contraddistingue, per negare il suo status e riaffermarlo successivamente su di un livello superiore" (FONTE) ed esteriore io aggiungerei.

I vecchi totalitarismi, che siamo abituati a riconoscere facilmente, usavano le armi dell'esclusione o dell'inglobazione dell'altro per garantire l'ordine sociale e lo status quo. La nuova mentalità invece, il cui archetipo risiede nelle strategie di marketing, tende proprio ad annullare l'altro appropriandosi tacitamente e silenziosamente della sua stessa identità, della sua cornice esistenziale per colmarla e iniettarla di un altro senso, di un'altra essenza finalmente conforme e non più 'problematica' per l'ordine costituito.

Per fare un esempio sulle dinamiche di questo processo, possiamo notare come ogni giorno in tv passino le immagini di famiglie virtuali estremamente gioiose, perfette, equilibrate che fanno colazione, pranzano, cenano in completa armonia; nello stesso momento altre famiglie reali di vario genere e con altri equilibri sicuramente diversi fanno da spettatrici a questi messaggi apparentemente innocui. La modalità di certe strategie di marketing è allora proprio quella di appropriarsi dell'identità dell'altro etichettandola con un marchio o un prodotto che SEMBRA perciò rappresentarla, ma che in realtà rappresenta soltanto una identità stereotipata e per questo priva di tutte le sfaccettature che caratterizzano la vita reale. E' come se lo spettatore fosse la cornice entro cui le strategie pubblicitarie disegnano la sua stessa storia, i suoi stessi valori e desideri marchiandoli a fuoco con la sigla di un qualsiasi prodotto di consumo. Il messaggio finale è "eccoti, questo sei tu(la tua 'cornice'), noi sappiamo quello che vuoi e desideri, per averlo acquista il tale prodotto..". La logica è quella del mutamento della sostanza (ciò che voglio), mantenendo la forma(come appaio).

Naturalmente queste strategie sono oggi molto più articolate, perfezionate e pervasive e il marketing -sebbene le abbia originate- non è il solo campo entro cui operano.

Lo svuotamento dell'identità dell'altro e la sua conseguente appropriazione, oltre a mero strumento di persuasione del XXI secolo, sembra anche funzionare come arma politica. Partiti rivali si svuotano di 'senso' vicendevolmente, si appropriano delle caratteristiche profonde del 'nemico', delle sue modalità comunicative e strategie, dei suoi temi profondi e dei suoi punti fermi frutto di un '900 dimenticato. Ecco allora che leggendo e osservando la punta di un iceberg ci si accorge di non scorgere più distanze, né punti di rottura, tra destra e sinistra e si parla di crisi di valori e ideali.

La destra si appropria di temi considerati di sinistra, e viceversa. Per riportare la questione dalla teoria alla pratica, basta semplicemente dare un'occhiata a quello che accade oggi in Italia (e non solo), pochi anni fa le liberalizzazioni promosse da Bersani furono un esempio lampante dello 'straripamento' di una linea politica fuori dal suo letto sinistroso e di appropriazione di tematiche storicamente proprie di una destra liberale. Dall'altro lato un altro dei molti esempi che è possibile riportare riguarda l'opinione esternata di recente dal ministro Tremonti e dal premier Berlusconi su questioni di precariato e posto fisso: "Non credo che la mobilità sia di per sé un valore” affermava il ministro dell'economia l'ottobre scorso (FONTE) e di riflesso lo seguivano le dichiarazioni del presidente del consiglio "Io sto con Tremonti, posto fisso e partite Iva sono un valore" e aggiungeva "lo dimostrano i provvedimenti del governo". Suona strano anche questo e infatti la notizia in questione ebbe risalto proprio per la sua particolarità e originalità, proveniva da una destra liberale che fino a pochi anni prima promuoveva la flessibilità. Per chiudere il cerchio del paradosso lo stesso premier aggiungeva "Il governo lavora per una società fatta di libertà, di sviluppo economico e di solidarietà. [...] principi dell'economia sociale di mercato"(FONTE), quest'ultima,l' economia sociale di mercato, è una parola passata frequentemente in quel periodo, ma è semplicemente contraddittoria di per sé. Successivamente alle aspirazioni del nuovo neo-liberismo (promosso dalla destra di Reagan e di M. Tatcher) che delineavano un mercato che si regolava da sé, senza il bisogno di uno stato sociale e di un welfare che preservasse dagli effetti perversi della distribuzione della ricchezza, la destra italiana parla di "economia sociale di mercato".

Non molto tempo fa, negli anni '70 assistevamo ad una guerra fredda globale sintetizzabile in due fronti contrapposti: da un lato una economia di mercato (Usa), dall'altro di economia sociale e pianificata (Urss); lungi dal volere a tutti i costi ragionare in termini aristotelici e estremamente dicotomici di bianco o nero, vero o falso, ci chiediamo però -dati anche i fallimenti che ebbero certi esperimenti ibridi di economia sociale di mercato nell'ultima Urss di Gorbaciov- cosa rappresenti quella nuova etichetta coniata dalla destra liberale italiana. Probabilmente niente. Ricorda molto però le strategie delineate precedentemente, e sembra essere l'applicazione demagogica politica di quella che l'antropologo Gregory Bateson definiva "doppio vincolo"(FONTE), una situazione nella quale due messaggi emessi contemporaneamente da una stessa emittente si contraddicevano vicendevolmente e lasciavano lo spettatore inerme, vincolato, intrappolato dal loro incongruo sovrapporsi, come se non potesse avere la possibilità di decidere quale dei due livelli contraddittori accettare come valido, e nemmeno di far notare a livello esplicito l'incongruenza.

Bateson fornisce un esempio: una madre, dopo un lungo periodo, rivede il figlio, ricoverato per disturbi mentali. Il figlio, in un gesto d'affetto, tenta di abbracciare la madre, la quale si irrigidisce; il figlio a questo punto si ritrae, al che la madre gli dice: "Non devi aver paura ad esprimere i tuoi sentimenti". Nonostante a livello di comunicazione implicita (il gesto di irrigidimento) la madre esprima rifiuto per il gesto d'affetto del figlio, a livello di comunicazione esplicita (la frase detta in seguito), la madre nega di essere la responsabile dell'allontanamento, alludendo al fatto che il figlio si sia ritratto non perché intimorito dall'irrigidimento della madre, ma dai suoi stessi sentimenti; il figlio, colpevolizzato, si trova impossibilitato a rispondere.

Naturalmente è l'analogia, quella che facciamo, di un campo politico/sociologico con un campo puramente psicologico, ma ci aiuta a comprendere meglio che effetto possano avere certe dinamiche contraddittorie, consce o non consce che siano.

Ancora più singolare ma confermante certe tendenze moderne fu la reazione del Pd, che sembrava in quell'occasione allontanarsi dalla sua natura originaria e 'sinistrosa': alle parole di Tremonti, Franceschini tuonava inaspettatamente: "Il posto fisso? No, serve dinamismo" (FONTE) , cosa questo significhi non è facile affermarlo, 'dinamismo' sarà forse un sinonimo della tanto in passato osteggiata flessibilità? Caos.

Franceschini alla domanda del giornalista: "Ma il posto fisso è un valore?" rispondeva: "Quello che dice Tremonti non esiste più nelle società moderne. Ed è impossibile tornare indietro. Il Pd può farcela solo se riesce nell'operazione di rovesciare i valori della destra e affermarne altri. Due parole: merito ed eguaglianza".

Di che valori stiamo parlando? Di valori di destra? o di sinistra? Forse di destra e di sinistra, in un continuo 'svuotamento di senso' reciproco.

Pensiamo al merito, esso è stato da sempre alla base della società capitalista, la logica del self-made man, dell'uomo che grazie alle sue capacità riesce a salire nella scala sociale autonomamente; e l'uguaglianza? da sempre celebrata dalle opere di Marx e da tutto il panorama della sinistra storica, esaltata ancora prima da Rosseau che guardava con diffidenza alla proprietà privata; uguaglianza come perenne baluardo, un simbolo agitato contro le continue degenerazioni del sistema capitalista, degenerazioni che l'ormai obsoleto welfare state ha cercato di arginare in passato.

Merito e uguaglianza quindi, l'uno ci riporta al capitalismo, l'altro a rivendicazioni socialiste: due concetti conflittuali e contraddittori se non adeguatamente argomentati e lasciati tra le righe di un articolo.

E' utile e necessario infatti -proprio perchè il mondo è continuo mutamento- che anche le prospettive da cui è quotidianamente osservato siano a loro volta dinamiche e possano mutare. E questo avviene anche dal punto di vista del pensiero politico, di sinistra o di destra che sia: è cioè utile e produttivo rimettere in gioco sé stessi e la società tutta, ripensare un'identità o un obiettivo, ma storicamente ciò è sempre accaduto con cognizione di causa, dopo adeguate argomentazioni, dibattiti, riflessioni filosofiche ed anche dopo dolore, strappi, frammentazioni partitiche, ritorsioni. Oggi invece, questo continuo, inflazionato e giornaliero trasformismo sembra assumere dinamiche camaleontiche e sembra indirizzarsi più verso fini propagandistici che verso il reale ripensamento critico della propria identità.

E' come se l'identità stessa di questi nuovi protagonisti politici abbia accettato la sua fondamentale non-identità e non-soggettività, dedicandosi perciò non più all'esaltazione di principi costanti o obiettivi concreti(difficilmente individuabili nella politica del XXI secolo), ma all'intercettazione delle volontà frammentarie e degli orientamenti del pubblico, cercando di carpire le tendenze discontinue e confuse di una cittadinanza dimenticata. Apparentemente perciò un partito succube, guidato dall'orientamento popolare e dunque estremamente democratico, tuttavia anche un partito di marketing, che si rivolge ai suoi elettori o potenziali elettori con strategie tipiche delle migliori promozioni pubblicitarie trattandoli non più come cittadini informati, ma fondamentalmente come consumatori politici, figli infausti di un'epoca.

Questa situazione non si limita alla sola Italia, in un passato non molto distante anche il partito laburista inglese (sinistra non marxista) cambiava per così dire fattezze e dopo l'allontanamento dagli apparati sindacali e la soppressione del punto 4 (che affermava l'eguale distribuzione dei frutti del lavoro tra impresa e operaio sulla base di una comune proprietà dei mezzi di produzione e che nasceva nel 1918 sotto l'influenza della rivoluzione leninista in Russia), Tony Blair, nuovo segretario, presentava il "nuovo laburismo" affermando "per me il socialismo non ha mai significato nazionalizzazione o potere dello Stato. E neanche economia o politica. E' un obiettivo morale di vita. Un insieme di valori. Un credere nella società. Nella cooperazione"(FONTE). Parole nobili, ma che non furono supportate dall'evidenza, proprio perchè questo nuovo socialismo una identità propria e innovativa non l'aveva, nonostante la demolizione di quella passata. Aveva piuttosto un'identità equivoca proprio come quella del Veltroni parodizzato e caricaturizzato da Maurizio Crozza con i suoi continui e contraddittori "ma anche". Un'identità ambigua sintetizzabile nelle parole dello stesso Blair "Credo nella famiglia. Credo nel polso fermo con la criminalità [...]. Questo è il partito patriottico" e ancora "alcuni potrebbero dire che questi sono valori di vecchio stampo e di destra", infine "non lasciate che i Tory si impadroniscano di questi valori - sono nostri". Sinistra o destra? Caos.

Luca Ciccarese

Fonti:

Nello Barile - La mentalità neototalitaria
Tremonti marxista?
Berlusconi: "Posto fisso un valore"
Franceschini: "Il posto fisso? No, serve dinamismo"
Domenico Settembrini - C'è un futuro per il socialismo? E quale?


Dietro le quinte dell'emergenza: Haiti e altri interessi

"Troppe stellette, gli americani tendono a confondere l'intervento militare con quello di emergenza. Manca una capacità di coordinamento per non disperdere gli aiuti che sono stati inviati". Questo affermava Guido Bertolaso di fronte all'intervento statunitense dopo il terremoto di Haiti e riceveva di riflesso numerose critiche da parte dell'amministrazione Usa e non poche autoflagellazioni e genuflessioni da parte del governo italiano stesso.
Esiste però anche un Bertolaso americano, si chiama Soumitra R. Eachempati ed è un "chirurgo" delle emergenze, anche lui è stato ad Haiti e anche lui ha criticato l'amministrazione degli aiuti umanitari affermando che l'intervento è stato coordinato male e lasciato nelle mani dei militari americani, i quali hanno adottato i loro criteri di gestione, non comprendendo che avrebbe dovuto esserci un salto di qualità nella organizzazione degli aiuti internazionali (FONTE).


L'operazione umanitaria statunitense ha ricevuto insomma non poche critiche, l'imbarazzo inizialmente generato da quelle di Bertolaso si è potuto stemperare perciò in una visione più oggettiva del problema, data dalla semplice accettazione di una conduzione fallimentare della crisi haitiana affrontata da 15.000 soldati, portaerei, mezzi militari a fronte di bisogni alimentari e sanitari della popolazione. L'amministrazione statunitense ha deciso prontamente di spedire migliaia di soldati e mezzi sull’isola caraibica con il mandato di fornire aiuti, ma soprattutto di ricostruire il paese e le sue istituzioni. La gestione è stata accentrata nelle loro mani e, in secondo piano, sono quindi passati gli interventi di altri attori, come le Ong internazionali. Non è un caso che Obama abbia affidato il compito di coordinare la raccolta fondi per il terremoto di Haiti proprio Bill Clinton e W. Bush entrambi direttamente coinvolti nelle operazioni politiche ed militari che hanno determinato lo stato di povertà e di oppressione ad Haiti. L’ex Ministro della Difesa Haitana Patrick Elie ha diffuso la notizia che non si tratta di aiuti quello che i militari Usa stanno facendo, ma di una vera e propria invasione (FONTE).

Molti analisti politici affermano inoltre di prevedere una lunga presenza delle forze militari statunitensi su territorio haitiano. Al di là delle ulteriori critiche -spesso a senso unico- del presidente venezuelano Chavez, venate di un profondo sentimento antiamericano, è possibile tuttavia che si insinui a questo punto nello "spettatore" un qualche dubbio sul reale motivo di una presenza di quel genere sui territori colpiti dal terremoto.
Haiti ha da sempre avuto una storia fatta di oppressioni economiche frutto delle politiche del FMI e di ingerenze da parte statunitense, l'ultima fu l'esilio del presidente Jean-Bertrand Aristide nel 2004 dopo un golpe di forze paramilitari successivamente al quale a Port-au-Prince sbarcarono truppe di marines inviate dall'ex-presidente Usa G. W. Bush, e Boniface Alexandre, giudice capo della corte suprema, fu nominato presidente del consiglio con l'appoggio di Stati Uniti, Canada e Francia. Le nuove elezioni del 2006 portarono alla presidenza per la seconda volta René Preval, attualmente in carica. Appena insediatosi, Préval sottoscrisse l’accordo Petrocaribe (FONTE) con il Venezuela (forniture a condizioni di particolare favore di petrolio e gas) e riaffermò la volontà di proseguire la collaborazione, già molto stretta, con Cuba, soprattutto nel settore sanitario. Si rivolse inoltre ai Paesi dell’America Latina, quali Brasile, Argentina e Cile, per ottenere aiuti allo sviluppo del proprio paese. Rapporti che non rassicurarono né gli americani né gli europei già messisi da tempo al lavoro per destabilizzare per l’ennesima volta questo piccolo paese.
Ma c'è di più, già nel 2008 due scienziati, Daniel e Ginette Mathurin, avevano affermato che ad Haiti esistevano delle grandi riserve di petrolio e uranio (vedi immagine sopra). "Abbiamo identificato 20 giacimenti di petrolio" aveva detto Daniel Mathurin, sismologo haitiano, assicurando che le riserve di petrolio di Haiti sono una ricchezza che aumenta gli interessi strategici del Paese(FONTE). Per Ginette Mathurin, sua moglie: "questi giacimenti sono dichiarati 'riserve strategiche degli Stati Uniti d'America' ": minimo 3 ditte canadesi sono attive nell’Isola nella ricerca di Oro e Rame e nel giro di tre anni hanno accumulato un impero, le ditte sono: St.Genevieve, Eurasian Minerals e Majescor(FONTE). La St.Genevieve stando ai fatti ottenne un contratto di 25 anni (nel 1997) dal Presidente Renè Prèval, durante il suo precedente mandato.


Al di là delle immagini di profonda desolazione e indigenza presentate dai mass media internazionali, Haiti sembra invece possedere un potenziale nascosto e rappresentare molto di più di quanto non si creda: un territorio strategicamente primario a livello minerario e petrolifero e strategicamente ambiguo a livello geopolitico/militare, dati i recenti rapporti collaborativi dell'attuale presidente Préval con paesi a forte connotazione antiamericana -nonchè nuovi protagonisti nello scenario economico globale- quali Brasile, Cuba, Venezuela.

Luca Ciccarese

Fonti:
Articolo di Soumitra R. Eachempati
Patrick Elie condanna la militarizzazione di Haiti
Haiti e l'accordo Petrocaribe
St.Genevieve, Eurasian Minerals, Majescor ad Haiti
Il petrolio ad Haiti + (Traduzione articolo)