giovedì 27 gennaio 2011

Italia amorale

C’è poco da stare allegri in Italia ed è possibile che il nostro burattinaio sessuomane non faccia che seguire una traccia che è sempre stata presente nel bel Paese: la pressoché totale assenza di senso civico. E’ finito il tempo di grandi contenitori ideologici (ormai obsoleti), dove il cittadino, aderendo ai "comandamenti" del partito, non faceva altro che seguirne i dettami. Poteva esser letta come partecipazione, laddove era solo un “obbedisco” che garantiva un ordine. Un ordine mai realmente sfruttato per formare i cittadini sull’importanza di uno Stato vicino al benessere collettivo. Mai realmente sfruttato per far nascere un senso di Nazione cui si è grati di esser parte, da rispettare e conservare; così come ognuno di noi rispetta e cura la propria famiglia. Al contrario è sempre stata mantenuta quella cultura egoistica tutta italiana, dove la forma più avanzata di altruismo è diventata il clientelarismo.
Una volta i governi agivano in modo pragmatico perché il paese crescesse al suo interno, e in effetti molto è stato fatto, sia a livello economico, che giuridico, così come molto è stato fatto per renderlo una potenza nelle dinamiche internazionali; e qualche bricconata, tra potere e denaro, del politico nel suo agire per lo Stato, rimaneva un costo accettabile della macchina pubblica. Il vero problema non era quanto i politici si mettessero nel portafoglio, o quali vizi avessero, bensì perché, accanto a grandi riforme, nulla venisse fatto per far crescere e germogliare nel corpus sociale una morale civile. Proprio a partire da questa carenza è iniziata la caduta.
La vecchia classe dirigente politica, che nonostante i suoi limiti agiva per lo Stato, nel tempo è stata sostituita. Il ricambio è avvenuto con soggetti che si sono formati all’interno della cultura non cooperativa, sfruttata per ottenere facili consensi. E’ quindi diventata inevitabile l’azione politica degli ultimi decenni: da un lato l’interesse per il prestigio dell’Italia all’estero è diventato un hobby nell’agenda di governo, dall’altro si sono ridotte le iniziative per ogni altro importante progetto di sviluppo interno. Ad essere aumentata è solo la spinta dei politici a perseguire il proprio tornaconto più spicciolo, godendo dei privilegi (leciti e non) che una tale funzione gli ha permesso. Berlusconi è solo la massima espressione di questo processo, sbocciato da una società incapace di sentirsi un unico gruppo che non alza lo sguardo oltre il proprio orticello.
L’Italia si merita i governanti che ha, nati dal suo grembo. L’attuale classe politica, maggioranza e “opposizioni”, per quanto vista spesso come conflittuale e polarizzata, non può che cercare di mantenere lo status quo, e per farlo come agisce? Stimolando proprio quei processi che l’hanno resa tale: l’assenza di un senso di Stato di cui tutti partecipino.
Usando le Istituzioni come strumenti di fazione, al di là della loro natura storica di soggetti giuridici (preferibilmente) super partes o non deplorando tutti quei fenomeni di irresponsabilità, uno su tutti l’evasione fiscale, oggi trofei e simboli d’astuzia, i governanti non solo cementano le proprie cariche, ma atrofizzano la morale civile, rendendo ancora più facile perseguire i propri scopi.
L’unica vera novità che spinge ulteriormente nell’abisso il sistema è la cultura detta berlusconiana, tutta paillettes e “spazzatura mediatica”, che Lui avrà usato per primo, ma della quale tutti hanno beneficiato, in fondo. Buona parte dei quotidiani e delle trasmissioni televisive di informazione politica si sono ridotte ad un continuo quanto vacuo j’accuse, fondato non tanto su programmi elettorali o scelte di governo, né sulla inerzia delle opposizioni, bensì sul puro gossip morboso dell’ On. Tizio pescato a transessuali o dell’ On. Caio organizzatore di festini. Fatti deplorevoli e da rendere pubblici ovviamente, ma che mostrano al cittadino solo il rispettivo grado di “sporcizia” dei propri politicanti evidentemente; non favorendo certo lo sviluppo di una coscienza sui bisogni del paese e su quelli del cittadino.

Si è saputo di una giovane militante del PdL che ha chiesto di far luce sulle responsabilità della Minetti. Tralasciando l’interesse mediatico che può avere la giovane per ottenere notorietà, è importante cogliere un fattore: forse c’è una speranza. La speranza si trova nelle nuove generazioni. Forse queste, avendo potuto osservare lo spettacolo dei “vecchi”, e cogliendo i frutti amari del loro “lavoro”, per assurdo potrebbero capire gli errori e dal cattivo esempio trarre gli insegnamenti per cambiare; in meglio. Il vantaggio dei giovani è che possono superare, complici la tecnologia e le possibilità di ricevere un’istruzione più completa che nel passato, quei muri di disinformazione e diseducazione che vengono innalzati quotidianamente. Tuttavia parte del problema potrà essere risolto solo con il fondare o ritrovare una morale civile edificata sulla collaborazione, sulla legalità e sul rispetto delle Istituzioni, che tutti devono accettare, indipendentemente dalle preferenze ideologiche, economiche e sociali: preferenze legate da sempre alle scelte e alle storie del singolo; ma la collettività è più della somma dei singoli.

Andrea Tommei

mercoledì 19 gennaio 2011

La favola di Berlusconi

La storia infinita. Ci risiamo: Berlusconi VS magistratura. Uno scontro snervante anche per chi, ormai, non ne è che uno spettatore decennale, uno dei tanti. In questi ultimi anni le inchieste che hanno visto protagonista il Presidente del Consiglio sono state numerose e disparate, da Mediaset a Mediatrade, dalla corruzione Mills al Rubygate, da Ciancimino a Spatuzza. Tra presunte leggi ad personam e rinvii semestrali dei processi in attesa dei giudizi della Corte costituzionale, la lunga coda di vicende giudiziare di B. si è trascinata silenziosamente. Un'ombra lunga e nera. Parlamentari e cittadini dell'opposizione hanno invocato le dimissioni, sentendo lesa l'immagine del Paese. Paese ormai eclissato da quell'ombra scura, tanto che il nome futuro del Pdl - sembra - dovrà essere proprio "Italia", ironia della sorte. Berlusconi, dalla discesa in campo, non ha fatto che raccontare una lunga, quanto ripetitiva, favola. Non parlo di promesse elettorali, ma di quelle peculiari dinamiche comunicative che hanno caratterizzato e contraddistinto il berlusconismo politico. Cos'è una favola? Non è forse una lettura stilizzata e semplicistica del mondo? Una suddivisione netta e stabile tra buoni e cattivi, tra bene e male, tra lupo e cappuccetto rosso. Dopo diciassette anni di B. sembra quasi ovvia e scontata una visione di questo genere agli occhi della cittadinanza, tanto che buona parte dell'opposizione ne ha notevolmente risentito, fondando nell'antiberlusconismo la ricetta della propria esistenza e delle proprie alleanze. Anche l'opposizione è stata sconfitta dal know-how  berlusconiano, trovandosi inglobata nelle sue stesse logiche, trovandosi a combattere con le sue stesse armi. Marchiata a fuoco dal segno di un'epoca che non le appartiene più. La lettura del mondo di cui è portatore B. è tanto univoca, quanto infantile e semplicistica: la sinistra, i comunisti, i post-comunisti o qualsiasi altro tipo di opposizione costantemente all'origine di ogni male, dall'altro lato il bene che non indietreggia, mai. Una vera e propra visione del mondo, una visione così totale e completa da sconfinare e dispiegarsi nel potere mediatico, nei modelli "vincenti" della società civile e nello scontro col potere giudiziario. Così totale da affermarsi come cultura berlusconiana. Quella magistratura che indaghi su esponenti del partito del salvatore, diventa magistratura politicizzata, "braccio armato" della sinistra. Una minestra riscaldata che va avanti dal '94. Nelle campagne elettorali di B. ricordiamo lucidamente grandi e prepotenti manifesti elettorali: "la sinistra ha messo in ginocchio il Paese. Rialzati Italia". Un po' come il Cristo che scende tra gli uomini, sconfigge la morte e sancisce la resurrezione con espressioni mitiche quali: "Lazzaro, alzati e cammina". Naturalmente il ruolo della morte lo fa la sinistra, duemila anni dopo. Siamo sicuri che la nostra epoca sia allora così laica, logica e razionale come crediamo? O forse il mito e la superstizione si celano costantemente dentro insospettabili involucri? L'ultima visione mitologica veicolata dalla politica fu, d'altronde, quella proposta da Adolf Hitler. Inginocchiare i ricchi ebrei, per risollevare una Germania in piena crisi economica. L'individuazione simbolica dell'ebreo come male era un punto di riferimento: tutto il male identificato con il mondo dell'ebreo. Anche la conseguente sensazione di sicurezza derivante dalla lettura dicotomica di un noi positivo idealmente condiviso e riconosciuto, che si contrappone a un loro ostile e avverso, giocava un ruolo primario in una Germania in piena crisi identitaria. Non fu mitologia questa? Non fu il riscatto dell'irrazionalità del potere?  Eppure ancora oggi la "pancia" surclassa la mente, tanto che Voltaire rabbrividirebbe: "Signora, cosa ne pensa degli ultimi scandali del Presidente?" - "Guardi, che le devo dire su queste cose, a me sta simpatico".
B. propone una visione del mondo duale, rassicurante e sorridente, B. sa quali sono i problemi e chi ne è la causa. La favola di B. è quella delle toghe rosse, del giornalismo "fazioso", del finiano traditore venduto al nemico, degli studenti rossi e fannulloni, del complotto internazionale delle sinistre, dell'amore che vince sempre contro l'odio. La favola di B. non risparmia nemmeno Napolitano, definito mesi fa come uomo "storicamente di sinistra". La favola di B. racconta anche la Costituzione italiana, a modo suo: una serie di fogli di carta e inchiostro dotati di vita propria e di ideali politici, non ci crederete, di sinistra. La narrazione mitologica di B. è destinata a continuare, specie in questo periodo di polarizzazione dello scontro. Non sembriamo avvertirla più questa narrazione, quasi assuefatti e ammaliati dalle parole di un cantastorie sempre sorridente. Eppure l'Italia conobbe anche il compromesso storico di Berlinguer e il bene comune, conobbe Pertini e il senso dello Stato. Oggi se ne dimentica e si accontenta; e allora, trascinata in un vortice di polarizzazioni, si abbiglia di bianco e di nero, al di là di ogni possibile sfumatura. Si rassicura entro una antica, dualista lettura del mondo: buoni e cattivi.
L'opposizione si ritrova trascinata nella narrazione. Risente del successo avversario e si abbassa al suo livello per combatterlo, tanto che l'antiberlusconismo diventa cemento ultimo e unico di vaste coalizioni, e infine mito, anch'esso; ma la favola è già scritta e la racconta ormai da diciassette anni  il nostro B. cantastorie, che, d'altronde, ha già deciso il finale: l'amore vince sempre sull'odio, cappuccetto rosso sul lupo. L'opposizione non può vincere se sta al suo gioco, confinata in una favola, poichè - a scapito del nome - la parte di cappuccetto rosso è già stata assegnata. Dal 1994.

Luca Ciccarese

sabato 8 gennaio 2011

Se il dollaro muore: default e amero

Debito pubblico Usa
Tim Geithner, attuale segretario al Tesoro Usa, ha pronunciato oggi, e in veste ufficiale, un termine bruciante, appuntito, scomodo, inaspettato. Default. Certo, di parole se ne dicono, ma è pur vero che già da tempo una larga fetta di economisti da dietro la scrivania metteva in guardia il popolo americano; e quello europeo, di riflesso. E in guardia da cosa? Dal crac definitivo, dalla crisi monetaria vera e propria, il crollo del dollaro americano, l'iperinflazione. Il default della superpotenza americana. Geithner ha confermato i grafici degli economisti del malaugurio con una semplice parola, default. Gli Usa stanno per abbattere la soglia dei 14,3 miliardi di debito pubblico, equivalente al 99,3% del Prodotto Interno Lordo americano. Debito pubblico che dal 2008 sta aumentando vertiginosamente. Per il segretario Geithner diventa oggi assolutamente necessario approvare una legge per alzare il tetto massimo del debito federale, autorizzando il Tesoro a emettere più titoli, per finanziarsi. In caso contrario dice Geithner "il danno sarebbe catastrofico, la solidità dei buoni del Tesoro sarebbe a rischio, così come il ruolo del dollaro come moneta di pagamenti internazionale". In caso contrario default. La soluzione allora c'è, si dirà. Nonostante essa sia comunque un palliativo, il rischio che la strada mostrata da Geithner non venga intrapresa permane. Permane da dopo la sconfitta del novembre 2010, nella quale la maggioranza democratica di Barack Obama si è notevolmente ridimensionata a favore di una maggior presenza del partito repubblicano nella Camera dei deputati. Tra i repubblicani serpeggiano tendenze autodistruttive e irrazionali che un economista come Bruce Bartlett tratteggia in poche frasi: "Molti integralisti della destra s’illudono che basti non alzare il tetto legale del debito, e d’incanto lo Stato sarà costretto a ridmensionarsi. Da quando questi fanatici sono entrati al Congresso la prospettiva di un default degli Stati Uniti, per quanto resti improbabile, non è più impossibile". Un crac piuttosto che il Welfare obamiano, un default piuttosto che lo statalismo. Si giunge ad invocare un vero e proprio 1929 che serva da lezione al "socialista" Obama, l'Apocalisse, la catarsi purificatrice che frantuma lo Stato e il suo ruolo pubblico. E mentre Geithner parla di default, tra i repubblicani neoliberisti si alzano voci opposte: “E’ ora che impariamo ad amare l’idea di una bancarotta sovrana degli Stati Uniti." Per il neoliberismo l'intervento statale in economia è solo un peso, tanto vale buttare via il bambino con l'acqua sporca, tanto vale straziare lo Stato. Intanto il debito americano è oggi detenuto in buona parte dalla Cina, che si pone così anch'essa a rischio innanzi alla possibilità di insolvenza e di crac del popolo statunitense. Cina che attualmente sembra intenzionata anche ad acquistare il debito pubblico di paesi come la Spagna, salvandoli certo, ma attendendo il logico tornaconto.
Il debito statunitense è mostruoso ed è stato possibile evitare un crollo negli anni grazie al signoraggio del Tesoro usa su scala mondiale, dato il ruolo di primo piano del dollaro nei mercati internazionali. Washington ha infatti ancora il privilegio imperiale del signoraggio, il privilegio di stampare una moneta che il resto del mondo accetta, seppur a malincuore. Se l'euro, lo yen o qualsiasi altra unità monetaria avessero sostituito il dollaro negli scambi internazionali il crac sarebbe già avvenuto da tempo. Probabilmente allora default o fine del dollaro sono storicamente inevitabili, ma quali saranno gli scenari possibili? Chi potrà ricavarne profitto, chi ne pagherà le conseguenze?
Dal 2006 si era iniziato a parlare dell' amero, valuta figlia del dollaro. Non si trattava di fantapolitica o esopolitica, già un anno dopo furono stampati negli Usa 800 miliardi di amero e inviati in Cina. Nell'ombra. Il debito obbligazionario statunitense nei confronti dell'impero cinese era di ben 2,5 trilioni di dollari; meglio portarsi avanti col pagamento. In quegli anni l'amministrazione Usa era repubblicana, G. W. Bush progettava un'unione nordamericana simile alla Ue che unisse Canada, Usa, Messico (NAFTA) con una nuova valuta post-dollaro, l'amero. Il predecessore al Tesoro di Geithner, il repubblicano Henry Paulson, intanto continuava a tenere la carica cercando di obbligare il popolo americano a darsi l’ ultimo colpo verso il suicidio portando gli Stati Uniti alla bancarotta totale non lasciando agli americani altra possibilità se non quella di scaricare completamente un dollaro USA ormai praticamente privo di valore, per rimpiazzarlo con l’amero.
Dove voglio arrivare? Questo accadeva nel 2008. Oggi la volontà di governo è diversa, Geithner -democratico- spinge per evitare la bancarotta e il caos economico e sociale del Paese, ma la maggioranza democratica alla Camera si è sfaldata da novembre. Cosa dobbiamo aspettarci? Se la legge invocata da Geithner venisse bocciata dai repubblicani non ci sarebbe scampo. Crollo. Un crollo di cui risentirebbe anche l'Ue. E come avverrà? Le fasi potranno essere diverse.
Il governo americano decreterà il suo default finanziario, il ministero del tesoro Usa dichiarerà una "causa di forza maggiore": questo comporterà un disconoscimento del gigantesco debito pubblico in dollari Usa. A quel punto il dollaro non varrà più nulla, tutti cercheranno di liberarsene e dunque sarà demonetizzato dal ministero del Tesoro americano, non sarà più una moneta. Chiunque abbia beni, crediti o debiti in dollari si ritroverà assolutamente spogliato di tutto.Carta straccia. Solo allora potrà ricomparire, come un fiume carsico e opaco, l'amero. In una situazione di disperazione socio-economica i grandi banchieri mondiali potranno offrire di convertire il dollaro in amero ad un cambio sfavorevole ai cittadini. Ad esempio US$ 1,00 per amero 0,10 (90% svalutazione del dollaro). Da un lato avremo una truffa senza precedenti in una situazione socio-politica da guerra civile e in cui probabilmente vigerà la legge marziale. Dall'altro lato l'enorme debito obbligazionario verso la Cina sarebbe pagato giusto da quegli 800 miliardi di amero inviati già nel 2007, basterà solo aspettare che l'amero risorga sulle ceneri del dollaro. Se la Cina premerà per il pagamento totale in triliardi di dollari, potrà accontentarsi solo di carta straccia ormai, prendere o lasciare. Reset, il banco vince.

Luca Ciccarese